La riforma del governo mina l’autonomia dei giudici. Rocco Maruotti, segretario Anm, illustra le ragioni della protesta
È sciopero dei magistrati e delle magistrate, è stato indetto dal Comitato direttivo centrale dell’Associazione nazionale dei magistrati che chiedono di essere ascoltati su una riforma che giudicano sbagliata, inefficace nel migliorare la giustizia e forse anche pericolosa per la democrazia.
Lo scorso 28 gennaio l’Assemblea generale della Cgil ha approvato un Ordine del giorno a sostegno della mobilitazione che, per la confederazione di Corso d’Italia, “si inserisce in un più vasto e fondamentale impegno (anche referendario) a difesa della Costituzione e per la sua integrale applicazione che ci vedrà fortemente mobilitati nei prossimi mesi”.
Dirigenti della Cgil saranno presenti nelle iniziative organizzate nelle diverse città italiane dalla Anm.
Rocco Maruotti è stato recentemente eletto segretario nazionale dell’Associazione. È convinto che la riforma della magistratura voluta dal governo non vada bene, non servirebbe ai cittadini e alle cittadine, non renderebbe più rapida ed efficiente la giustizia. Minerebbe, invece, il principio costituzionale dell’autonomia dei magistrati, trasformerebbe i pubblici ministeri in super poliziotti sottoposti all’esecutivo e verrebbe meno l’obbligatorietà dell’azione penale. Ma – sostiene Maruotti – “esiste il filo rosso che lega chiaramente una serie di scelte compiute dal governo, una certa insofferenza al controllo di legalità”.

Tra le ragioni dello sciopero del 27 febbraio c’è anche la difficoltà di dialogo, di confronto con il governo?Sì, una premessa però. Lo sciopero è stato proclamato dal precedente Comitato direttivo centrale sulla base di un deliberato dell’Assemblea nazionale dello scorso 15 di settembre, la più partecipata degli ultimi 20 anni, soprattutto da colleghi molto giovani. In quel deliberato si dava mandato al Comitato direttivo di proclamare una giornata di sciopero se in un ramo del Parlamento si fosse approvata in prima lettura la riforma. Non solo la Camera ha approvato quel testo ma lo ha blindato, non accettando nemmeno emendamenti presentati da una forza di maggioranza. Non mi pare una grande apertura al dialogo. Certo, testi blindati, decreti e voti di fiducia non sono una novità, in questo caso però stiamo parlando di una riforma costituzionale, una riforma che incide sul dettato costituzionale, la regola primaria del nostro ordinamento e sulla quale bisognerebbe francamente trovare una soluzione condivisa. Abbiamo capito, allora, che grandi possibilità di dialogo non c’erano.
Un altro dei punti a cui lei è particolarmente legato è proprio quello dell’autonomia della magistratura: è messa in discussione da quel testo di riforma?
Anche in questo caso la risposta è sì. L’articolo 104 della Costituzione afferma che la magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere. Se formalmente questo articolo non viene modificato dalla riforma, nella sostanza il testo mina proprio l’autonomia della magistratura. In tutti i Paesi in cui vi è la separazione delle carriere, vi è una qualunque forma di controllo politico sul pubblico ministero. D’altra parte se si separano le carriere, si costituisce un Csm dei pubblici ministeri e quel corpo acquisirebbe un grande potere e sarebbe autoreferenziale. Il controllo politico sarebbe l’evoluzione naturale. E non siamo solo noi a sostenerlo.
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